Il silenzio
Giugno 2022
I quattro minuti e mezzo di John Cage
La musica è per definizione l’arte della modulazione del suono. Non è possibile fare musica senza in qualche modo generare delle vibrazioni acustiche, che sia percuotendo delle membrane, pizzicando delle corde o modulando una colonna d’aria.
Tuttavia, qualcuno ha pensato di fare un esperimento, di creare un brano basato sul silenzio, e non in senso figurato. E chi, se non un grande sperimentatore come John Cage, poteva ideare un simile pezzo?
Il signor Cage (classe 1912) è noto tra le altre cose per le sue composizioni che definire originali sarebbe riduttivo.
Cito, giusto a titolo di esempio, i suoi esperimenti con la tecnica estesa, come Water Walk, per pianoforte, vasca da bagno, innaffiatoio ed elettrodomestici vari, o anche le sue composizioni “casuali” di matrice vagamente dadaista, ottenute mediante metodi aleatori quali algoritmi o persino mezzi di comunicazione di massa (in Imaginary landscape no. 4, per dodici radio, la partitura dice solamente agli esecutori come variare la frequenza e il volume, senza ovviamente che sia possibile prevedere cosa sarà ricevuto dalle apparecchiature).
In parte Cage fu influenzato nella sua ricerca dalle filosofie orientali, in particolare lo zen, ma anche gli insegnamenti del Libro dei Mutamenti (che utilizzerà tra le altre cose come metodo compositivo): nella sua ottica, la musica è da considerarsi come natura, non come imitazione della natura, e va quindi eseguita e fruita senza pretendere di dominare e organizzare i suoni. Vi è in Cage un rifiuto dell’idea di processo logico di composizione, di liberazione totale dalle costrizioni tradizionali. Il centro della ricerca non sono più i rapporti tra i suoni, ma i suoni in sé.
Il lettore avrà ormai capito che con simili premesse, l’ideare un pezzo musicale senza musica esce dal reame delle ipotesi per divenire qualcosa di tremendamente concreto.
Cage iniziò a occuparsi del problema alla fine degli anni ’40, in seguito probabilmente alle sue esperienze con la camera anecoica. Dicesi camera anecoica una stanza insonorizzata in modo da fermare ogni riflessione del suono da parte delle pareti, creando di fatto per chiunque si trovi all’interno un ambiente completamente insonorizzato. Almeno in teoria.
Cage si rese conto che anche in un simile ambiente il silenzio assoluto non può essere ottenuto: anche in assenza di altri rumori, infatti, il corpo umano produce dei suoni (il battito del cuore, la vibrazione generata dal sistema nervoso e da quello circolatorio). Il compositore si convinse dunque che il silenzio assoluto era un’utopia irrealizzabile: la vita umana non può scindersi dal suono.
Nasce così quello che è senza dubbio il pezzo più celebre di Cage: 4’33’’, per qualunque strumento musicale o ensemble. Uno spartito in cui non vi sono note, ma solamente un tacet (non suonare) di oltre quattro minuti, diviso però in tre movimenti.
Lo scopo non è quello di ottenere il silenzio: per Cage, come abbiamo visto, questo è impossibile. Piuttosto, egli voleva mettere al centro dell’attenzione i suoni che circondavano il musicista, fossero il ronzio di una mosca o il respiro e il mormorio perplesso degli spettatori. L’ambiente, non l’esecutore, diviene il punto focale della produzione sonora.
Non possiamo che concludere l’articolo consigliando di ascoltare questo brano decisamente sui generis, anzi, proponendo al lettore di cimentarsi egli stesso nella sua esecuzione. Basta prendere uno strumento (va bene tutto, dal triangolo al basso tuba) ed eseguire quanto scritto sullo spartito. E ascoltare.
Federico Rossi
Fonti:
https://youtu.be/JTEFKFiXSx4 https://youtu.be/AWVUp12XPpU